L’immagine qui sotto rappresenta lo stereotipo occidentale di “forza”.
È la forza dei muscoli, la capacità di “sollevare pesi”, che si è fatta strada con prepotenza nell’ideologia comune come sinonimo di perfezione estetica e bellezza.
L’intero processo ha raggiunto il suo apice di pari passo con l’espandersi delle tecnologie di comunicazione e dei social media.
È facile mostrarsi, quindi è prioritario apparire rispettando determinati canoni.
Così “si va a fare i muscoli” senza uno specifico obiettivo da raggiungere: l’ipertrofia muscolare non serve più a vincere una medaglia o battere un record, ma ad alimentare il proprio narcisismo.
Al di fuori di un contesto sportivo quindi l’allenamento ha l’unico scopo di “abbellire” l’estetica del corpo, e di conseguenza esaltare l’ego di chi ne fa bella mostra.
L’allenamento nelle Arti Marziali
Chi pratica Arti Marziali ha familiarità con il concetto di allenamento quotidiano: sono molti gli aspetti da curare, dalla tecnica alla resistenza fisica, dall’elasticità all’esplosività, dalla concentrazione al condizionamento, e così via… Fino ad arrivare alle pratiche meno comuni legate al mondo della meditazione e a quello del “lavoro sull’energia”, o Qi Gong, strettamente connesso con la respirazione.
In ogni caso, per qualsiasi praticante, la muscolatura è una conseguenza dell’allenamento costante, non la meta da raggiungere!
Sia chiaro, il tutto non è necessariamente finalizzato ad un incontro sul ring, anzi! Ho già parlato della mia avversione per il “combattimento sportivo” nell’articolo “Le Arti Marziali oggi: uno strumento versatile e accessibile a tutti”, sfatando anche il mito del legame tra arti marziali e violenza.
Tuttavia è indubbio che gli stili marziali debbano avere una finalità pratica.
Sia essa l’autodifesa oppure… il superamento dei propri limiti.
Ecco il punto cruciale della questione, strettamente correlato proprio con le pratiche meno in voga di cui parlavo prima: il Qi Gong e la meditazione.
Cosa accade infatti se, lasciando da parte l’ego e l’estetica, orientiamo i nostri sforzi quotidiani verso un obiettivo diverso, un avversario nuovo?
Noi stessi, i nostri limiti e le nostre paure.
Non occorre organizzare un combattimento per mettersi nella condizione di dover superare un ostacolo: ci pensa la vita ad offrirci tutte le difficoltà di cui abbiamo bisogno!
Le insidie della paura
Nella vita di ciascuno di noi prima o poi arriva sempre il momento in cui il mondo ci sbatte in faccia la sfida più grande: la sopravvivenza.
Allora ci accorgiamo che la forza sviluppata fino a quel giorno non è adeguata, non è sufficiente, che gli avversari sconfitti non erano quelli giusti, e infine, in ultima analisi, che gran parte delle nostre scelte – e dei nostri rimpianti – sono il semplice risultato della proiezione delle nostre più profonde paure.
È questa proiezione mentale, questa “fantasia pessimistica” del futuro, che ci impedisce di lanciarci in sfide apparentemente impossibili, o con possibili conseguenze catastrofiche.
Conseguenze che, al 99% delle probabilità, non si verificheranno mai. Ma la paura riesce ad immaginare soltanto quell’1%…
Così rinunciamo, cambiamo strada, ci accontentiamo della realtà che si para davanti ai nostri sensi… Rinunciando ad indagare l’ignoto, in ogni campo dello scibile umano, a partire proprio da noi stessi.
È per questo motivo, per questo 1%, che non prendiamo un aereo perché potrebbe cadere, che non seguiamo un istinto perché non è consuetudine, che non intraprendiamo un’avventura perché potrebbe finire male… Che non ci lanciamo con il paracadute perché potrebbe non aprirsi!
Ma dico, ti sei mai lanciato con il paracadute?!
È l’emozione più incredibile che si possa vivere! È liberà allo stato puro a 200 chilometri orari! È… volare!!!
Però la paura frena i nostri impulsi, annienta i nostri desideri, ci rinchiude in una gabbia di “comfort” che serve soltanto ad indebolirci, a omologarci allo standard di vita moderna…
“Non salire su quell’albero, potresti cadere…”
“Non sudare troppo, poi ti senti male…”
“Vestiti bene prima di uscire, è freddo… Altrimenti ti ammalerai…”
Già, il freddo… eccoci finalmente all’argomento principale di questo articolo: il Misogi.
Per qualcuno la forza si sviluppa sfidando se stessi, le proprie paure e i propri limiti, e in mancanza di avversari – per necessità o per scelta – si può fare anche “combattendo” contro i cinque elementi, contro le forze della natura, contro le avversità fisiologiche…
Ma si tratta davvero di un combattimento? Di un o scontro?
Oppure è un modo per cercare l’integrazione e la sinergia tra il proprio corpo-mente-spirito con l’ambiente in cui viviamo?
Una natura dalla quale ci siamo progressivamente distaccati, perdendo al tempo stesso il contatto con quelle energie sottili che avvolgono intimamente il nostro essere, e con una importantissima parte di noi che sono certo tu stia cercando di ritrovare.
Ti invito allora a scoprire cos’è il Misogi, così da aggiungere un altro piccolo tassello all’infinito percorso che conduce alla conoscenza di Sé…
Misogi: un antichissimo rito di purificazione
Il Misogi (si legge “misòghi”) è un rituale di purificazione giapponese, risalente alle prime forme di spiritualità, come lo sciamanesimo autoctono e l’animismo che, nel sesto secolo, presero il nome di Shinto per distinguersi dal Buddhismo appena importato.
Secondo i miti dello Shintoismo, il primo Misogi fu effettuato da Izanagi no OKami, la grande – “O” – divinità – “Kami” – che creò il sistema solare, per eliminare le impurità accumulate durante la discesa nello Yomi, il regno dei morti.
Questa religione animista politeista, con molti tratti sciamanici, pone l’attenzione sul ricercare l’armonia in questo mondo, sia tra la natura e l’essere umano, che tra quest’ultimo e i Kami, i milioni di spiriti, divinità, forze della natura e guardiani che permeano l’ambiente e dal piano astrale influiscono sulla vita quotidiana.
Questa interazione viene modulata attraverso preghiere, rituali (come appunto il Misogi) e portali, i famosi Torii: portali artificiali, simbolo di buon auspicio, aperti sul mondo degli spiriti e, per chi ne ha consapevolezza, veri e propri accessi a differenti dimensioni vibrazionali (simili alle “porte naturali” che ti ho suggerito di cercare nell’articolo “Il piccolo popolo: fate, elfi, folletti e altre ‘leggende’”).
Anche mudra, mantra e mandala sono potenti strumenti di connessione con il “mondo dello spirito”, e ne parliamo nell’articolo dedicato.
Ma in cosa consiste il Misogi?
Occorre anzitutto trovare una sorgente di acqua naturale: il mare, un fiume, una cascata o un lago, anche se l’acqua corrente è più adatta allo scopo. Quindi non resta che immergervisi completamente, di solito intorno alla metà di gennaio!
Lo so, sembra una pazzia, ma ti assicuro che è un’esperienza unica e rigenerante!
L’ho sperimentato per la prima volta nel 2016, insieme al gruppo di Aikido, guidati dal maestro Stefano Bartoli, e ricordo ancora ogni singola sensazione provata durante l’immersione e subito dopo!
L’armonia che si crea tra il corpo ed il fiume (si chiede al suo Kami di essere accettati), tra la mente e il silenzio dell’ambiente, tra le energie sottili e la circolazione del sangue… E la forza che si sprigiona dal tuo essere, una sensazione di totale controllo e serenità che ti avvolge e ti riempie…
Tutto ciò ha una componente magica indescrivibile, è un vero e proprio ponte tra te stesso e una parte della tua coscienza ancora sopita, e ti arricchisce ben oltre i benefici scientifici di cui ti parlerò tra poco!
Ho dovuto aspettare fino a quest’anno per ripetere l’esperienza una seconda volta, ma ha soddisfatto tutte le aspettative!
Puoi seguire le fasi “dell’impresa” sul mio canale YouTube, “Roberto Fagnani”, cliccando su questo link!
Intanto vediamo come ci si prepara all’immersione.
Misogi: le varianti e i consigli per prepararsi a provare
Inutile dire che occorre molta attenzione prima di tentare questa pratica.
È altamente sconsigliata a chi ha problemi di cuore, inoltre va fatta sempre con uno o più compagni, in caso insorga l’ipotermia.
Comunque, evitando gli eccessi, i pericoli sono davvero minimi, sebbene la paura, il pregiudizio e l’ignoranza spingano molti a credere che sia una pratica pericolosa per la salute…
Esistono molte varianti dell’esercizio di immersione.
Per quanto mi riguarda sono fedele al Misogi giapponese, al quale mi preparo eseguendo alcune tecniche di pranayama – il controllo della respirazione di tradizione Yogica (con l’applicazione dei Bandha, descritti nell’articolo “Kundalini, Chakra, Bandha e Granthi: sigilli nascosti e antichi poteri”) – abbinate ad esercizi di respirazione e posizioni del Qi Gong e del Zhan Zhuang cinesi, che avrò modo di approfondire nei miei corsi.
Il mio compagno di avventura di quest’anno invece, Matteo Lambardi, praticante di arti marziali, appassionato viaggiatore e ricercatore metafisico, si allena ormai da mesi nel metodo dello sportivo e recordman olandese Wim Hof, che integra le tecniche di pranayama con il Tumo tibetato.
Si tratta di un insieme di tecniche di meditazione, visualizzazione e respirazione, che gli antichi monaci himalayani utilizzavano per sviluppare calore dall’interno del corpo, grazie al quale potevano resistere a lungo, completamente nudi, alle rigide temperature delle montagne.
Ed è proprio la durata dell’immersione, come puoi constatare nel video, la grande differenza tra la mia pratica e quella di Matteo!
Se però sei interessato a provare una volta soltanto, piuttosto che intraprendere il percorso di “adattamento al freddo”, ecco quali sono le regole da seguire durante la settimana precedente l’immersione, così come suggeriscono i parametri di purificazione del Misogi giapponese:
- Evitare carne, alcolici, zuccheri, derivati di farine raffinate e caffè;
- Totale astinenza sessuale;
- Bere molta acqua (è consigliato un bicchiere di acqua calda con limone, ogni mattina appena svegli) e, se piace, tè verde;
- Aumentare il consumo di verdure, di semi oleosi e di legumi;
- Dormire presto, subito dopo aver stabilito l’obiettivo del giorno successivo;
- Praticare almeno 20 minuti di meditazione al giorno, e altrettanti di esercizi di respirazione;
- Aumentare l’attività fisica, anch’essa quotidiana;
- Evitare pensieri negativi o inutili, conflitti e situazioni stressanti;
- Stabilire quale aspetto di “Sé” purificare attraverso il Misogi;
- Il giorno del Misogi, arrivare al momento dell’immersione completamente digiuni.
Come vedi, rispettare queste semplici regole è già un enorme passo verso la purificazione del proprio essere, verso il focus dei propri obiettivi e verso uno stile di vita più sano e gratificante!
E se, faccia a faccia con il fiume, all’ultimo momento non te la senti di immergerti, segui assolutamente il tuo istinto e non farlo! Significa che hai già raccolto i benefici di cui avevi bisogno da questa esperienza, e avrai modo di riprovare l’anno successivo, senza doverti rimproverare nulla!
Gli aspetti scientifici e i risultati pratici del Misogi
Le ricerche sul Misogi hanno dimostrato che lo shock dell’acqua fredda aumenta la frequenza cardiaca e quella respiratoria, con miglioramenti nella capacità cardiovascolare e nelle prestazioni atletiche.
Si va a migliorare anche la circolazione dell’energia interna, mentre si rafforza il sistema immunitario e si eleva la propria consapevolezza.
Entrando più nel dettaglio – e cedendo la parola a Matteo! – occorre sottolineare che fino a pochi anni fa la scienza riteneva impossibile che un uomo potesse sopravvivere per ben 10 minuti immerso in acqua a temperature inferiori ai 3°C, senza andare incontro a principi di ipotermia o addirittura alla morte.
Invece, grazie alle tecniche del pranayama che prolungano l’espirazione, si riesce ad agire sul sistema parasimpatico, antagonista del sistema simpatico (che secerne adrenalina), e a far sì che il corpo rimanga rilassato anche se sottoposto a stress estremi, risparmiando energia e rallentando il sopraggiungere – in questo caso – dell’ipotermia.
Infatti, gran parte della dispersione dell’energia avviene attraverso l’affanno respiratorio, a sua volta favorito dalla secrezione di adrenalina.
Una respirazione calma e controllata favorisce invece il rilascio di acetilcolina (un importantissimo neurotrasmettitore), che lavora all’opposto dell’adrenalina, permettendo di controllare volontariamente sia il sistema simpatico che quello parasimpatico… Un’azione che, fino a venti anni fa, la scienza occidentale riteneva impossibile!
Comunque, al di là dei tecnicismi, imporre al proprio corpo e alla propria mente una sfida di questo tipo presuppone una grande forza di volontà.
La volontà è un dare per ricevere: focalizzandosi su determinati obiettivi e raggiungendoli, non facciamo altro che aumentare il serbatoio di questa forza primordiale, il potere più grande di cui disponiamo! [Vedi anche “Il potere della forza di volontà tra presente e passato”]
E, una volta incrementato, questo potere può essere orientato in ogni ambito della nostra vita, per conseguire qualunque tipo di risultato… Ritengo che questo sia un effetto importante tanto quanto lo stare in salute!
Cosa significa essere forti?
Credo che, indipendentemente dai metodi utilizzati o dalle esperienze vissute, ognuno di noi abbia dato la propria risposta a questa domanda, o stia cercando di farlo!
Ti saluto citando un pensiero del professor Jin Parker, personaggio di fantasia protagonista del mio romanzo “Il Viaggiatore”, con la speranza che le sue parole ti lascino uno spunto di riflessione, e, perché no, una motivazione in più per proseguire imperterrito fino al raggiungimento di ogni tuo obiettivo!
“Cosa significa essere forti?
Saper sconfiggere molti avversari? Riuscire a raggiungere i propri obiettivi, qualunque essi siano? Sopraffare le emozioni senza crollare o mostrare debolezze?
Jin aveva un’idea molto personale della risposta, poiché la domanda lo riguardava da una vita intera. Aveva sempre cercato di essere più forte, ma nel tempo la motivazione che lo spingeva era cambiata, o meglio, si era evoluta.
Da ragazzino era stato soltanto un modo per superare l’insicurezza nella vita quotidiana: in una città come New York tornava sempre utile sapersi difendere. Poi quell’insicurezza si era dissipata, ma non la foga con cui si allenava, con cui combatteva… Passione per le arti marziali? Forse. Se ne era convinto e non aveva più dato peso alla cosa. In fondo la pratica costante lo faceva stare bene, tanto bastava.
Negli ultimi anni però un dubbio si era affacciato alla sua coscienza. E se l’insicurezza si fosse fatta da parte soltanto per lasciare spazio ad un senso di inadeguatezza? Per la vita, per la società, per l’essere se stesso in un tipo di mondo che non gli apparteneva affatto.
Essere forte, sempre, avrebbe voluto dire riuscire ad adeguarsi: trovare una ragione, fosse anche la ricerca della forza stessa attraverso l’auto-perfezionamento, che gli permettesse di non rimanere invischiato nell’apatia dilagante del ventunesimo secolo.
Svegliarsi la mattina, lavorare, guadagnare, spendere, addormentarsi e ricominciare tutto daccapo. Senza rendersi conto che il sogno non era mai terminato.
Essere forte per affrontare tutto ciò senza smettere di udire quella voce che nel silenzio, nel “qui ed ora”, gli ricordava di avere altri obiettivi da perseguire.
Uno dei quali era la risposta alla domanda che lo assillava da giorni: qual era la meta del sentiero che aveva intrapreso?”
E la tua qual è?
Quale meta intravedi all’orizzonte, oltre l’oceano di ostacoli che la vita dissemina lungo il tuo cammino?
0 commenti