Cos’è la resilienza: basi teoriche
Quando ho iniziato a scrivere questo articolo, temevo di cadere nel luogo comune.
La speculazione attorno al termine resilienza è ormai alle stelle… Insomma, ammettiamolo, oggigiorno questa parola va molto di moda!
Viene citata in tutti i corsi motivazionali, sbandierata in ogni ambito sportivo, offerta come soluzione infallibile nei campi dell’alta performance e delle “strategie del successo”.
Cos’altro aggiungere allora ad un tema tanto discusso e analizzato?
Tu hai mai provato a fare ricerche sulla resilienza?
Leggendo qua e là ti accorgerai subito di un fattore comune: la teoricità degli esempi che concorrono a definire il termine.
Voglio iniziare proprio dalle principali definizioni.
Definizione del termine “resilienza”
Non si può motivare la necessità di una “dote” senza prima specificare cos’è!
Cercando il termine su Wikipedia, scopriamo che la resilienza è “la capacità di far fronte in maniera positiva a eventi traumatici, di riorganizzare positivamente la propria vita dinanzi alle difficoltà, di ricostruirsi restando sensibili alle opportunità positive che la vita offre, senza alienare la propria identità.”
Questa parola deriva in realtà dalla tecnologia metallurgica, dove indica la capacità di un metallo di resistere alle forze che vi si applicano.
“Resilienza” in psicologia
Lo psicologo e psicoterapeuta Giorgio Nardone, fondatore del Centro di Terapia Strategica di Arezzo, definisce la resilienza nell’opera “Oltre sé stessi”, scritta in collaborazione con Stefano Bartoli, del quale ho già parlato nell’articolo “Una ricetta per vivere sereni e consapevoli: impara a non farti guidare dal giudizio!”.
Secondo loro “questo costrutto psicologico si esprime nella capacità dell’individuo di resistere agli inevitabili urti della vita e alle frustrazioni personali e professionali, lungo un percorso tanto più elevato quanto più esposto a ostacoli e disagi.”
Una simile concezione si discosta poco dalla definizione classica, se non per il fatto che i due psicoterapeuti considerano inseparabili “resilienza” e “determinazione”, in quanto lo sviluppo della prima è direttamente proporzionale al possesso della seconda.
Ecco il primo indizio di come la resilienza sia strettamente legata alla volontà individuale… Ma per il momento andiamo avanti con l’ultima definizione.
“Resilienza” nello sport
Lo psicologo sportivo Pietro Trabucchi ci dice che “la resilienza psicologica è la capacità di persistere nel perseguire obiettivi sfidanti, fronteggiando in maniera efficace le difficoltà e gli altri eventi negativi che si incontreranno sul cammino.” Afferma inoltre che “il verbo “persistere” indica l’idea di una motivazione che rimane salda”.
Eccola di nuovo: una “motivazione salda”, sinonimo di una “volontà forte”.
Probabilmente hai già intuito per quale motivo non puoi fare a meno della resilienza lungo la strada del successo… Ma è il caso di procedere per gradi, scoprendo cos’è che ci impedisce di acquisirla.
L’ostacolo alla resilienza: una vita troppo facile
Sia Trabucchi che Nardone e Bartoli evidenziano come i modelli economici e sociali occidentali influiscano negativamente sulla formazione del carattere dell’individuo, un punto ampiamente dimostrato da Stefano Bartolini, politologo e professore all’Università degli Studi di Siena, relatore della mia tesi di laurea, del quale parlerò tra poco.
Nel saggio “Oltre sé stessi” i due psicologi insistono su flessibilità e adattabilità, in quanto strumenti per apprendere sempre cose nuove e mettersi in gioco per superare i propri limiti (per “imporre gradienti di cambiamento alla percezione e all’azione”).
Pietro Trabucchi invece analizza nel dettaglio gli elementi sociali che ostacolano lo sviluppo della resilienza, ricordandoci il suggestivo significato originario di “resalio”, etimo latino di resilienza, che connotava il gesto di risalire sull’imbarcazione capovolta dalla forza del mare.
Nel prossimo paragrafo lo psicologo sportivo mi aiuterà a svelarti i retroscena negativi del nostro “benessere”.
L’altra faccia del benessere
Nel suo libro “Tecniche di resistenza interiore”, Pietro Trabucchi analizza approfonditamente i fattori culturali che secondo lui determinano la crisi delle società più “avanzate”. Poiché è impossibile riportare tutto in un articolo, mi limiterò a darti alcuni spunti di riflessione con questo estratto del primo capitolo.
“Nella nostra società è presente una forte pressione culturale volta a far sentire le persone deboli, fragili, incapaci di fronteggiare le normali difficoltà che la vita presenta. Questo per renderci bisognosi di stampelle e aiuti esterni, ovviamente sempre nell’ottica del consumo.
L’effetto di ciò è sinergico a quello di aspettative molto radicate nella nostra civiltà come quella, per esempio, che si possa sfuggire a qualsiasi forma di disagio.
La cultura digitale non produce solo cattiva regolazione dell’attenzione. Essa erode il rapporto con la realtà. Il dissociarsi continuamente dal qui e ora, per relazionarsi altrove, mina il senso di realtà che si basa sull’esperienza sensoriale del presente.
Diventa più difficile un’elaborazione autonoma di emozioni e pensieri: assume un connotato di verità solo ciò che viene «condiviso». Ma la realtà condivisa può essere soltanto povera e stereotipata.
Infine un ultimo, potentissimo fattore culturale: la svalutazione costante dell’impegno personale quale mezzo per il raggiungimento degli obiettivi; al contrario, la nostra società si appaga ormai nel mito del talento (inteso come «dono» incontrollabile) per spiegare il conseguimento dell’eccellenza.
Un mito che diffonde nelle persone passività e sfiducia verso le proprie possibilità. La distruzione di ogni forma di meritocrazia si associa al far percepire l’impegno personale come strada inutile verso il successo.
Scuola e organizzazioni lavorative finiscono per confondere l’eguaglianza delle opportunità con quella dei risultati.”
Riesci a percepire la gravità di una simile lettura del mondo?
La società del ben-avere e quella del ben-essere
È nell’ottica di un consumismo feroce e ininterrotto che ogni giorno ci alziamo per andare a lavorare, convinti che più denaro significhi più benessere personale.
Lo so, probabilmente ti stai chiedendo il motivo di tutta questa “economia” in un articolo sulla resilienza…
Ottimo!!!
Devi farlo, perché altrimenti non riuscirai a capire con quali subdoli trucchi viene affossata la tua volontà di agire!
Io l’ho capito con l’esperienza, ma, prima di raccontarti come, voglio mostrarti i risultati esposti nel saggio “Manifesto per la felicità”, del professor Stefano Bartolini.
La ricerca portata avanti da un team di economisti e sociologi in tutto il mondo dimostra la diretta correlazione tra il declino della felicità individuale – tradotta in relazioni intime e sociali – e l’aumento delle ore lavorative.
In parole povere, ad un aumento del reddito corrisponde un inevitabile declino delle relazioni!
Nonostante ciò, il denaro offre molte forme di protezione – reali o illusorie – dalla povertà di relazioni. Eccone gli esempi classici: badanti, baby-sitter, home entertainment, vacanze… Fino ai normali beni di consumo.
Sono proprio questi ultimi la punta di diamante del meccanismo propagandistico della pubblicità, che li mostra come ottimi sostituti dell’amore.
Il pubblicitario svizzero Frédéric Beigbeder si spinge a scrivere: “Farvi sbavare è la mia missione. Nel mio mestiere nessuno desidera la vostra felicità, perché la gente felice non consuma.”
Insomma, in nome del “progresso” abbiamo perso la gentilezza, l’apertura verso l’altro e la volontà di cercare quel qualcosa di più, in grado di renderci felici, dentro di noi, e non all’esterno.
Un “qualcosa” che il professor Bartolini inserisce nella categoria delle “motivazioni intrinseche”, come l’amicizia, la solidarietà, il senso civico, ecc.
All’origine di questa “deviazione dei valori” c’è un fattore cardine della società moderna: la cultura. O meglio, la cultura consumista che fa del consumo stesso una forma di espressione individuale: “copro dunque sono”, portando allo stesso tempo gli studenti a scegliere un percorso formativo in base alla prospettiva del guadagno che ne ricaverà (entrambe “motivazioni estrinseche”).
Sta di fatto che le statistiche parlano chiaro: i paesi più progrediti tecnologicamente sono anche i meno felici. Gli americani, portabandiera della crescita consumistica, stanno sempre peggio: ansia, stress, malattie mentali… Migliaia di casi di burnout sono divenuti la prassi nelle aziende di maggior successo. E la Cina cavalca la stessa onda…
Ma, ciechi e sordi all’evidenza, continuiamo a costruire, a tagliare foreste, a bruciare petrolio, “[…] e col miraggio che più benessere vuol dire più felicità, investiamo tutte le nostre energie nel consumare, come se la vita fosse un eterno banchetto romano in cui si mangia e si vomita per poter rimangiare…”, dice Tiziano Terzani in “Un altro giro di giostra”.
Danni collaterali all’ambiente
“Chi crede che una crescita esponenziale possa continuare all’infinito in un mondo finito è un folle, oppure un economista.”
Questa famosa frase di Kenneth Ewart Boulding, economista e poeta inglese, evidenzia perfettamente quanto detto finora.
Ci tengo però a sottolineare che l’essere umano non è l’unico a subire le conseguenze del proprio agire.
Infatti, oltre ad annientare qualsiasi “possibilità di sfida” e quindi di sviluppo delle nostre risorse interiori, la cultura economica e finanziaria odierna sta portando il pianeta al collasso.
Non ti racconto nulla di nuovo… Ormai il tema è più attuale che mai. Tutti ne parlano, ma nessuno (o quasi) fa niente di concreto per stravolgere la situazione – sì, stravolgere, perché è di questo che c’è bisogno.
Non sarà forse come un cane che si morde la coda?
È assolutamente necessario cambiare il sistema alla radice, ma tale sistema annichilisce la spinta volitiva del 90% della popolazione… Più che un caso sembra una manovra ben pianificata, uno stato di cose ben progettato, proprio come afferma Ngakpa Chögyam nell’ambito del percorso spirituale, dove indica “la noia come meccanismo di difesa dello stato non-illuminato”.
È a questo punto che lo scrittore tedesco Sebastian Fitzek, al termine del suo bellissimo romanzo “Noah”, ci riassume la gravità della nostra condizione.
L’autore rimarca il problema dello stile di vita delle nazioni industrializzate, con un sistema economico teso alla massima crescita e di conseguenza alla massima distruzione delle risorse.
In aggiunta a tutto ciò emerge il dramma della sovrappopolazione, argomento troppo ampio da poter affrontare in questo breve articolo.
Fitzek parla inoltre dell’impotente inerzia con la quale gran parte di noi è costretta ad affrontare questo sistema schizofrenico, che ci “consiglia” di rottamare auto funzionanti per far girare l’economia e di bere acqua nelle bottiglie di plastica importate da altre regioni…
Immagino tu intuisca la malcelata pazzia di questo moderno stato di cose…
Su un punto sono in disaccordo però, ovvero sulla presunta incapacità del singolo individuo di fare la differenza.
Come afferma infatti lo scrittore e drammaturgo francese Romain Rolland, premio Nobel per la Letteratura nel 1915, “il pessimismo della ragione non esclude l’ottimismo della volontà.”
Ops… È già la terza volta che spunta il termine volontà come chiave risolutiva..!
“Un’azione vale più di mille parole”
Tiriamo le conclusioni!
È il momento di chiudere il cerchio. All’inizio ti ho fatto notare la mancanza di praticità negli esempi e nella teoria della resilienza.
Alcuni affermano che un’infanzia difficile sia la chiave per svilupparla, altri che non è necessario passare attraverso la sofferenza per dotarsene. Altri ancora che esistono infinite possibilità per accrescere la propria resilienza e determinazione… Ma qual è quella giusta per te? Come fare a scoprirlo, se la nostra infanzia non ci ha “costretti” a combattere contro le avversità del destino?
La mia risposta è “fare esperienza della vita”.
Non quella scontata, impacchettata, pubblicizzata e venduta al grande pubblico.
No, mi riferisco all’avventura che sentiamo di voler vivere!
A questo punto ti consiglio di leggere l’articolo “Come scegliere la meta del tuo primo grande viaggio”, dove capirai cosa mi ha portato in India, e perché è importante seguire il proprio istinto nello scegliere i passi da compiere durante la vita.
Sia chiaro però: non è stata l’India in sé a farmi giungere alle conclusioni riportate in questo articolo… Bensì il ritorno in Italia!!!
Tutto ciò che ho scoperto nel continente indiano è riassunto nell’articolo “India, echi di una strage”, estratto della mia tesi di laurea pubblicato su MicroMega online, nel quale l’esperienza diretta dell’universo socio-economico indiano mi ha permesso di dimostrare ulteriormente le tesi del professor Bartolini, di Pietro Trabucchi, di Sebastian Fitzek, di Thomas Robert Malthus, di Amartya Sen, di Vandana Shiva e di molti altri scienziati che si battono per il pianeta Terra e per l’umanità.
L’origine della resilienza
Per connotarne l’origine posso soltanto fare appello alla mia esperienza diretta, raccontandoti la differenza tra la vita in India e quella in Italia.
Risiedere nel subcontinente indiano è stato davvero estenuante.
Il caldo torrido, le scomodità (niente acqua calda, poca elettricità, scarso segnale), il cibo piccantissimo e la dieta vegetariana, gli orari serrati delle lezioni nelle classi e infine i corsi di Kung Fu nel doposcuola. E poi cani randagi, sporcizia, nuvole di zanzare, scorpioni… Insomma, un vero e proprio corso di sopravvivenza!
Se è vero che all’inizio è stato molto difficile adeguarsi a queste condizioni, è altrettanto vero che la determinazione di farcela ha risvegliato in me una volontà che non credevo di possedere!
La regola è semplice: dare per ricevere.
Maggiore è l’impegno, maggiori sono i risultati, e maggiore è la volontà che accumulerai per le prossime sfide!!!
Quest’ultimo punto è la chiave della resilienza! Nessuno ne parla, ma è così. Solo che puoi scoprirlo solo attraverso l’esperienza!
Come diceva Sir Francis Bacon più di quattrocento anni fa, “La convinzione non deriva dagli argomenti ma dalle esperienze.”
Tutti sanno che i risultati dipendono dall’impegno, questo è l’argomento a portata di tutti. Ma la convinzione a cui si riferisce Bacone, la volontà che fortifica la nostra resilienza, nasce e si sviluppa dalle esperienze vissute in prima persona!
A questo punto ti chiedo: non credi che convinzione e determinazione siano direttamente proporzionali?
Nel paragrafo precedente ti ho detto che sono giunto alle mie conclusioni soltanto una volta rientrato in Italia… Perché?
Per la totale assenza di sfide!
In un mondo dove tutto è facile, tutto si compra, tutto si ottiene senza sforzo, la volontà si spegne come un fiammifero al vento… Non accade di proposito, ma una volta avvenuto è davvero difficile tornare indietro, riaccendere “i fuochi del nostro io”, come diceva William James.
Allora come fare per mantenere viva la nostra determinazione e la nostra resilienza?
Occorre avere una volontà ben orientata, dei sogni da inseguire, e indipendentemente dalle opulente e fuorvianti offerte della società moderna, non lasciarsi allontanare dai propri obiettivi.
Stimola la tua adattabilità viaggiando. Poniti mete sempre più lontane, studia in modo indipendente le materie di tuo interesse, esci dalla tua zona di comfort, supera i limiti del tuo corpo e della tua mente, senza per questo cercare il pericolo.
Vivi pienamente ogni giorno, e volontà, resilienza e determinazione cresceranno insieme a te!!!
Volontà, volontà… Volontà!
Questa parola ricorre spesso nei miei articoli e nei miei corsi. È la chiave del nostro successo, e non mi stancherò mai di ripeterlo!
Hai visto come un viaggio estremo o un’esperienza difficile possa stimolare quel fuoco interiore chiamato volontà, ma voglio lasciarti alcuni spunti di riflessione, che approfondirò nell’articolo “Il potere della forza di volontà tra presente e passato”.
Ecco una serie di ideogrammi cinesi che ti invito ad osservare attentamente:
意 – “yì”: idea, pensiero, desiderio, intenzione;
意志 – “yìzhì”: volontà, potere della volontà, determinazione;
士 – “shì”: soldato, persona addestrata in un determinato campo;
心 – “xīn”: cuore, sentimento, intenzione, ma anche mente, spirito, anima… (se ti interessa approfondire la storia e il significato di questo ideogramma, leggi l’articolo “Empatia: il segreto del “sentire l’altro”);
武士 – “wǔshì”: guerriero.
Adesso, da profano – proprio come me, che non ho mai studiato cinese! – quali analogie riesci a distinguere? Tra gli antichi simboli della millenaria tradizione asiatica, in che modo si intrecciano i significati di queste parole e gli ideogrammi che ne incorporano il concetto?
…
Ti saluto con un ultimo consiglio…
Gli indizi della verità sono ovunque intorno a noi… Non lasciare che l’apatia quotidiana soffochi la tua curiosità!
Osserva, metti in dubbio, ricerca… E ti assicuro che in pochissimo tempo la tua vita si trasformerà completamente!
Articolo eccezionale, mi ha trasmesso una bella sensazione.
Grazie mille! È un tema che oggigiorno merita assolutamente di essere approfondito… Sono felice che questo articolo ti abbia lasciato qualcosa!