Cos’è lo Yoga

14 Lug 2020 | Scienza e Spiritualità

I motivi che mi hanno allontanato da (ciò che resta di) quest’antica disciplina

In questo ventunesimo secolo di comunicazione planetaria e globalizzazione del tutto, non esiste angolo del mondo in cui lo Yoga non venga conosciuto e praticato.

“Prova anche tu! Lo Yoga è una disciplina semplice, alla portata di tutti..!”

Non è così.

O meglio… Oggigiorno lo è, ma soltanto perché lo Yoga ha subito un processo di riadattamento alle aspettative e ai gusti tipicamente occidentali, come purtroppo è avvenuto per la gran parte delle arti provenienti dal passato e dall’oriente.

Su questo lato del pianeta infatti si deve ottenere tutto immediatamente, perché di tempo non ne abbiamo… Occorre allora ottimizzare quei pochi momenti liberi e, perché no, raggiungere l’illuminazione nella pausa caffè.

Quindi perché non fare dieci minuti di stretching – pardon, Yoga – ogni mattina e, tanto che ci siamo, abbinarci una dieta vegana per far prima a purificare il corpo e lo spirito?

Tornerò su questo tema specifico nell’articolo “Dimensioni quantistiche e Yogin vegani: l’inutilità spirituale della dieta vegana”; per il momento torniamo all’argomento principale: cos’è lo Yoga?

Lo Yoga è un’antichissima disciplina nata in India, estremamente difficile da praticare – a volte perfino pericolosa – e ancor più ardua da capire per chi non possiede un background culturale, medico e metafisico adeguato.

 

Indagine letteraria ed esperienziale dello Yoga

Lo so, probabilmente non ti aspettavi un approccio così negativo ad una disciplina tanto famosa e amata dal grande pubblico…

Lascia allora che faccia un passo indietro e te la presenti per come l’ho conosciuta lungo il mio percorso: sui libri, vivendo in India e…nelle foreste del monte Amiata!

 

Alcune definizioni della parola sanscrita Yoga

I libri hanno il potere di cavalcare indenni l’onda del tempo e degli eventi terreni, trasportando dal passato ogni sfaccettatura delle “arti perdute”, così come erano in origine.

  • Nel glossario del Libro Tibetano dei Morti si specifica che letteralmente Yoga significa “unione”, che per i tibetani avviene tra l’uomo e la fondamentale natura della realtà.

Tale disciplina “include pratiche fisiche e mentali che affinano i canali energetici e portano al controllo delle energie vitali e dei punti seminali del corpo sottile. Queste pratiche sviluppano la consapevolezza discriminativa e l’unione con la vacuità…

  • Secondo Patañjali, il saggio che scrisse lo Yoga Sūtra, “lo scopo di questa pratica spirituale è quello di raggiungere la felicità interiore e la pace della mente, e di controllare la fonte delle parole e del comportamento” attraverso una perfetta padronanza dei cosiddetti “movimenti della mente”.

In altri termini, si parla di auto-esplorazione e auto-realizzazione, all’interno di un contesto societario e non soltanto individuale – “parole” e “comportamento” rimandano infatti ad una società rigidamente organizzata in classi, non a individui in eremitaggio permanente.

  • Infine, nel dizionario di Buddhismo della Sōka Gakkai (lett. “società creatrice di valori”, organizzazione buddhista laica che segue gli insegnamenti del monaco giapponese del XIII secolo Nichiren Daishonin), lo Yoga viene definito così: “[…] Un sistema di meditazione con radici nella tradizione indù e vedica, che si sviluppò nell’antica India. Ha lo scopo di calmare il corpo e la mente, liberando così il praticante dai suoi limiti. In questo modo egli può trascendere il desiderio e la sofferenza, raggiungere la concentrazione e l’unità con lo spirito e la verità suprema.

Nella stessa pagina si insiste inoltre sulla centralità della meditazione, un aspetto essenziale dello Yoga, che a quanto pare è “caduto in mare” durante il suo viaggio verso l’occidente.

Lontano dall’Asia l’attenzione è rivolta principalmente alle āsana, o posture fisiche, e agli esercizi di controllo del respiro (pranayama), senza dare troppa importanza alle pratiche meditative.

Insomma… Un bel bagaglio di nozioni! Ma non accontentiamoci delle definizioni “a portata di mano”, il bello deve ancora venire!

 

L’origine del nome

Facciamo ancora un piccolo passo indietro nel tempo, aiutandoci con “Yoga”, l’immensa opera di Giorgio Renato Franci, filosofo, linguista e storico delle religioni contemporaneo.

Come ho già accennato, purtroppo la strumentalizzazione mediatica e commerciale ha lasciato spesso decadere il significato originario di una parola, soprattutto se proveniente da un mondo così lontano.

Nel suo libro il suddetto autore ci spiega che l’antica radice indiana di Yoga è yuj, che significa “aggiogare”, dando all’etimo di Yoga il significato italiano di “giogo”, termine che veicola in entrambe le lingue i significati di “soggiogamento”, “sottomissione” e “unione”.

“[…] nelle sue varie forme lo Yoga implica uno sforzo o una realizzazione di auto-dominio e autocontrollo.

Ecco allora rivelato l’intento di questa pratica ascetica, insito nel suo stesso nome: un percorso di esplorazione di sé attraverso il progressivo controllo del corpo, passando da un corretto regolamento della respirazione e da un’adeguata disciplina mentale.

Tre fattori che non si discostano assolutamente dallo studio delle Arti Marziali Tradizionali, anzi!

 

Lo Yoga nell’India del terzo millennio

Il lento e inesorabile deterioramento delle pratiche yogiche, prima protette dall’isolamento geografico imposto dalla catena himalayana, è iniziato con le invasioni musulmane e poi con il colonialismo europeo e cristiano.

Al tempo stesso, la chiusura occidentale a certe ideologie, coadiuvata dall’arroganza di chi ritiene la propria cultura al di sopra di tutto e di tutti, hanno impedito un’integrazione a doppio senso.

Figure come il maestro Vivekānanda (nel 1893 ospite al Parlamento mondiale delle religioni, riunito a Chicago) non hanno potuto trasformare la loro conoscenza, portata in occidente con grandi sacrifici, in un “sapere disponibile per tutti”.

Così adesso abbiamo lo yoga della risata, il fitness yoga, lo yoga della birra… Mi fermo qui.

Lo studio sui libri non era più sufficiente… A questo punto dovevo “vedere con i miei occhi”!

Il viaggio in India mi ha messo in contatto con un “universo yogico” estremamente viziato dalla commercializzazione. Richieste di denaro spropositate per strani esercizi di stretching strappati al loro contesto storico e culturale, spiegati in dialetti sconosciuti e senza curarsi della comprensione dell’auditorium.

Esistono ormai davvero pochi contesti in cui è possibile praticare seriamente, nel rispetto delle antiche tradizioni e delle linee guida imposte dallo Yoga così come era in origine, e spesso dipende soltanto dalla bravura dell’insegnante, e non dalla disciplina in sé.

Spezzerò una lancia in favore della pratica yogica del Vipassanā (lett. “visione profonda”), che si prefigge la comprensione delle verità fondamentali del Dharma (“legge”): gli insegnamenti di un Buddha, le verità rivelate da tali insegnamenti e la loro applicazione.

Tutto ciò attraverso esercizi di meditazione basati sull’immobilità e sulla quiete della mente…

Immergendoci nel silenzio di questa disciplina si raggiunge presto una consapevolezza illuminante: tali verità non sono altro che il riflesso della coscienza profonda del proprio io, i pilastri assoluti sui quali si poggia la nostra identità.

Ora… C’è bisogno di andare in India per sedere in silenzio?!

C’è bisogno di perdersi nei labirinti di una disciplina che, a conti fatti, è quasi impossibile tradurre nella nostra lingua?

Non sarà che forse “essere in India” e “praticare il vero Yoga” sono concetti che nella nostra mente sono divenuti interdipendenti? Come se tutto ciò che funziona nell’ambito delle discipline yogiche debba possedere un certificato di provenienza che ne attesti l’origine indiana…

Inoltre, sebbene nei secoli ogni tradizione abbia sviluppato i propri metodi, lo scopo – tradotto in termini occidentali – rimane sempre lo stesso: la calma interiore (śamatha) unita alla comprensione (vipassanā).

Come potrebbe essere possibile quindi trovare, alla fine del percorso, qualcosa al di fuori di sé?!

 

Yoga, destino e foreste toscane!

Era l’estate del 2009 quando, passeggiando tra i luminosi boschi di faggio del monte Amiata, mi dirigevo verso un tavolo che avevo improvvisato in mezzo ad una radura. Un luogo isolato e meraviglioso, creato per studiare in pace e solitudine.

Sul posto trovai un anziano signore…

“Cosa stai cercando?” Mi chiese.

“Il silenzio.” Risposi senza esitare.

Quell’uomo – che preferisce rimanere anonimo – da quel momento è stato per molti anni il mio insegnante di metafisica, permettendomi di capire quanto le discipline meditative e mudriche, tipiche dello Yoga, fossero vicine alle pratiche marziali. (Per approfondire leggi “Mandala, Mantra e Mudra: arti del suono e geometrie sacre”!)

All’inizio mi sono sforzato di imparare questi nuovi strumenti, ma, se da una parte notavo una certa discrepanza con le mie tecniche, dall’altra non potevo fare a meno di constatare i medesimi risultati nella pratica!

Guarda caso infatti alcuni esercizi di Qi Gong e di Zhan Zhuang (spiegati nei videocorsi e nelle sezioni dedicate) derivano proprio dallo Yoga portato in Cina da Gunabhadra (394-468), monaco buddhista indiano al quale sono attribuite le traduzioni in cinese di 52 scritture in ben 134 volumi.

La ricerca del silenzio è alla base di qualsiasi forma di concentrazione marziale…

Riprendendo ancora le parole di Giorgio Renato Franci, lo Yoga è “un’esperienza di ricerca spirituale (non religiosa, non filosofica, non mistica) che per continuità nel tempo è forse unica nella storia.

Questo inoltrarsi nei meandri della civiltà umana la fa risalire addirittura ai primissimi rituali sciamanici, un’altra materia che ho avuto la fortuna di studiare, praticare e approfondire. [Per avvicinarti all’argomento puoi leggere l’articolo “Sciamanesimo e introduzione ai viaggi sciamanici“!]

 

Connessioni implicite

Forse allora avevo già gli strumenti giusti a portata di mano, senza bisogno di “rischiare di perdermi”…

Riordiniamo quanto detto finora:

  • Lo Yoga è uno strumento di auto-esplorazione e auto-realizzazione, caratterizzato dall’unità tra spirito, uomo e verità;
  • Si pratica la meditazione e la respirazione per calmare il corpo e la mente;
  • Si cerca di dominare e controllare il corpo attraverso pratiche fisiche e disciplina mentale;
  • Nello Yoga è importante sedere in silenzio e cercare la quiete della mente;
  • Le corrette posizioni del corpo (āsana e mudra) sono alla base di tutte le pratiche, abbinate a specifici metodi di respirazione, proprio come nel Qi Gong e nel Zhan Zhuang, discipline marziali per eccellenza;
  • Buona parte della “ricerca spirituale interiore” deriva da antichissime tecniche sciamaniche.

Inoltre abbiamo visto quanto l’occidentalizzazione dello Yoga abbia corrotto le sue originali aspirazioni…

Un altro fattore di distanza da questa realtà è stato il mio disinteresse per i rituali di iniziazione, che purtroppo impongono il loro peso anche nell’ambiente delle Arti Marziali Tradizionali… (Se ti interessa approfondire dai un’occhiata all’articolo “Le Arti Marziali Tradizionali nel XXI secolo”!)

Senza contare la mia totale repulsione per qualsiasi forma di setta, ordine o “gruppo organizzato con grande guru”, nient’altro che ingegnose trappole dove perdere se stessi e…il proprio denaro!!!

 

Tirando le somme, qual è la Via più adatta per te?

Insomma, dopo un’attenta analisi sono giunto alla conclusione che per chi, come me, si muove all’interno del mondo delle Arti Marziali Tradizionali, è inutile e pericoloso cimentarsi in qualcosa di palesemente viziato dalla modernizzazione e al tempo stesso così simile a quanto già disponibile in altri ambiti di ricerca personale.

Certe volte infatti tradizioni apparentemente agli antipodi non sono altro che sfaccettature di strumenti assai simili, allontanati nel corso dei secoli da linguaggi e culture appartenenti a luoghi diversi, come argomento nell’articolo “Il problema del linguaggio: come tradurre le antiche culture orientali in scienza occidentale”.

Per concludere voglio evidenziare un ultimo particolare.

Alcune Upaniṣad, antichi testi indiani, presentano lo Yoga in un linguaggio decisamente moderno, e affidano a questa disciplina il compito di realizzare l’identità tra lo spirito infinito, il brahman, e lo spirito o scintilla divina presente in ciascuno di noi, l’ātman.

Lo Yoga è pratica, da non confondere con il suo compagno Sāṃkhya, la parte teorica. E la pratica di perfezionamento interiore attraverso la disciplina del corpo e della mente non ti riconduce ormai all’idea che ti sei fatto di Arte Marziale?

Anche Koichi Tohei, maestro di Aikido e fondatore della Ki Society, sottolinea che “il fine ultimo della pratica della respirazione e della meditazione Zen e Yoga è la comprensione della nostra essenza di base […]

Di nuovo Arti Marziali Tradizionali, meditazione e Yoga fianco a fianco per aiutare l’uomo a conoscere se stesso

Il saggio che vede con visione penetrante il presente qui e ora realizza ciò che non si può perdere e non può vacillare.

Già, il “qui e ora”, fondamenta del pensiero di molti saggi del passato, incluso il maestro Costa…

Forse allora ciò che più conta è rimanere fedeli alla nostra identità, a ciò che più ci appartiene ascoltando la fonte della nostra intuizione profonda. Proseguendo la personale Via di ricerca attraverso gli strumenti di cui siamo certi e che meglio si adattano alle nostre caratteristiche, facendoci stare bene!

Tu hai deciso quale Via percorrere?

Se non l’hai ancora fatto, lasciati guidare dall’intuito, non dal ragionamento logico..!

Ricorda… La tua mente può essere come un cielo limpido se non vi cerchi rifugio, e se riesci a svuotarla rifletterà l’immagine di ciò che ti è più affine, di quello di cui hai bisogno. Ma riempiendola di pensieri continuerà a vagare, allontanandoti da te stesso e sprecando il presente.

A presto!

Roberto Fagnani

COACH DI GUERRIERI MODERNI E CONSULENTE DI VIAGGI INTERIORI

Coach di crescita personale per scoprire te stesso attraverso metodi non convenzionali: Arti Marziali orientali, libri, viaggi e antiche scienze spirituali.

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