Perché leggere – o scrivere! – un articolo su una religione all’interno di un blog sulla spiritualità?
Dovremmo ormai aver capito, infatti, la grande antitesi che contraddistingue i due concetti: la religione è la cieca fede in dogmi e credenze irraggiungibili e indimostrabili, definiti a tavolino da una classe governante autoeletta, più per scopi politici che per “amor di popolo”. La spiritualità, invece, è un percorso evolutivo attivo, mirato a conoscere la propria natura “immateriale” attraverso l’esperienza diretta.
Ebbene, è proprio quest’ultima a costituire le fondamenta dello Dzog-chen (in tibetano རྫོགས་ཆེན་, trascritto anche come Zógqen o Dzogstchen): l’esperienza diretta della propria essenza spirituale, della vera natura della mente.
Vale la pena allora di sondare le fondamenta di quest’affascinante disciplina, che inaspettatamente trova una delle sue maggiori sedi proprio qui in Toscana!
La comunità internazionale di Merigar West
Fin da piccolo ho avuto la fortuna di frequentare le magiche foreste del monte Amiata, ma soltanto dieci anni fa la mia esplorazione ha varcato i confini del centro tibetano di Arcidosso, Merigar West, concedendomi l’opportunità di imbattermi nell’incredibile strumento di conoscenza che va sotto il nome di Dzog-chen.
Fondato nel 1981 dal maestro tibetano Chögyal Namkhai Norbu, il centro si sviluppa tra le pendici del monte Amiata e del monte Labbro, e consta di molti edifici dall’architettura tibetana.
Così, tra le colline, gli alberi da frutto e i cespugli di more selvatiche si nascondono un Tempio della Contemplazione, vari stupa, una biblioteca, un cinerario e una Sala dei Mandala…
Sapendo dove cercare, è incredibile scoprire cosa si può trovare a due passi da casa!
La mia prima visita risale al 2010, quando andai ad assistere ad una conferenza del maestro Namkhai Norbu, che tra poche righe mi aiuterà a mostrarti in breve l’origine e i principi della disciplina Dzog-chen. Mi accompagnava un vecchio amico, e sul posto trovammo centinaia di persone provenienti da ogni parte del mondo!
Al tempo l’argomento ruotava attorno alle quattro nobili verità del Buddhismo, ma, piuttosto che alla teoria, ero interessato soprattutto ad esplorare l’affascinante complesso appena scovato, pregno di atmosfera orientale e colori sgargianti… Un luogo in cui la serenità e la luce sono tangibili anche senza possedere la chiaroveggenza!
Con il passare degli anni il mio percorso si è incrociato spesso con la “residenza della montagna di fuoco” (o “dimora dell’energia”, traduzioni della parola tibetana Merigar), dove ho potuto approfondire la cultura del Paese delle Nevi e l’origine e il significato dell’arte dei mandala.
È il momento di condividere un’infarinatura di quest’antica cultura, legata all’essere umano in ogni suo aspetto: il corpo, la mente e… la voce!
Le origini dello Dzog-chen
Come gran parte delle discipline orientali, anche la nascita dello Dzog-chen è attribuita a grandi maestri di un remoto passato, il cui lignaggio si perde nella notte dei tempi: secondo alcune scritture, il fondatore Garab Dorje nacque nell’anno 184 prima della nostra era; secondo altri testi, invece, fu quasi contemporaneo di Buddha.
La forma tantrica del Buddhismo fu introdotta in Tibet dalla figura leggendaria di Padmasaṃbhava, per poi inglobare anche gli insegnamenti Dzog-chen, a sua volta influenzato dall’antica forma di sciamanesimo autoctono, conosciuta come Bӧn.
Questa raccolta di rituali, credenze e formule magiche di stampo animista è stata presente nell’area himalayana fin da quando il Tibet era ancora conosciuto come Shang-shung (oggi corrispondente alla regione del Tibet occidentale).
Tutte queste arcaiche tradizioni (Bӧn, Tantra e Dzog-chen) sono raccolte nella scuola Nyingmapa, o “degli Antichi”, per distinguerle dai Tantra e dagli insegnamenti pervenuti in Tibet durante la seconda diffusione del Buddhismo, risalente all’undicesimo secolo.
Come ci svela il maestro Namkhai Norbu in “Dzog-chen, lo stato di autoperfezione”,
“Le scritture dello Dzog-chen sono comprese in tre sezioni: la Serie della Natura della Mente, la Serie dello Spazio Primordiale e la Serie delle Istruzioni Segrete. Le prime due sono state introdotte in Tibet da Vairocana; la terza da Vimalamitra.”
Inoltre “Esistono principalmente tre vie o metodi dell’insegnamento: la via della rinuncia, la via della trasformazione e la via dell’autoliberazione, rispettivamente alla base degli insegnamenti del Sutra, del Tantra e dello Dzog-chen. Esse corrispondono ai tre aspetti del corpo, della voce e della mente, detti ‘le tre porte’ perché sono il mezzo per entrare nella conoscenza.”
Per quanto distanti e incomprensibili ai profani, ritengo opportuno citare questa terminologia per lanciare un primo sguardo sulla “natura dell’insegnamento”: anche una cultura distante e sconosciuta, infatti, può svelarci molto di sé se dedichiamo qualche minuto alla lettura dei nomi con i quali definisce le sue credenze…
Ecco allora che è possibile osservare come lo Dzog-chen non venga definito un culto, ma una via di autoliberazione, che lascia il praticante indipendente lungo il proprio percorso spirituale; inoltre si evincono gli strumenti a disposizione di quest’ultimo, chiamati “le tre porte” per la conoscenza. Infine, per quanto nuove risultino al lettore, la prima delle tre sezioni dell’insegnamento porta il nome di “Natura della Mente”, lanciando un primo seme sull’identità di quest’antichissima forma di meditazione…
Comunque, per non rischiare di perderci nei meandri della storia o nei dettagli accademici, vediamo subito da vicino in cosa consiste lo Dzog-chen.
La triplice natura relativa dell’uomo
Quanto segue proviene in gran parte dalla già citata opera “Dzog-chen, lo stato di autoperfezione”, del maestro Namkhai Norbu, scomparso nel 2018. Il resto, naturalmente, deriva dall’esperienza diretta: nel campo della ricerca spirituale la sola teoria non è sufficiente, deve necessariamente essere supportata dalla pratica.
Così, dopo molti anni di meditazione e – nel mio caso – di quotidiani esercizi di Qi Gong, mi è stato possibile comprendere il significato di “voce”, e intuire (quantomeno!) l’esistenza dello specchio… Da qui a separarsi dal riflesso, beh, ce ne corre!
Ma il viaggio è ancora lungo, per tutti noi, quindi liberiamoci della fretta e andiamo a conoscere il significato di questi termini/aspetti dello Dzog-chen.
Come evidenzia il titolo di questo paragrafo, secondo la tradizione tibetana in analisi l’essere umano è costituito da tre elementi-aspetti relativi, cioè “soggetti al tempo e alla scissione in soggetto e oggetto”: il corpo, la voce e la mente.
Ne esiste anche una “versione assoluta”, libera dai limiti di spazio-tempo e dal dualismo (caratteristica significativa dei mondi di terza e quarta dimensione [vedi anche “Dimensioni quantistiche e Yogin vegani”]), ma prima occorre comprenderne l’aspetto relativo.
Vediamoli dunque nel dettaglio.
Il corpo
Tutti sappiamo cos’è il corpo. È il nostro “mezzo di trasporto” in questo mondo materiale, e infatti in metafisica viene chiamato “veicolo”. Sappiamo quanto sia fragile, limitato, dipendente e transitorio.
Tuttavia è il primo strumento che abbiamo a disposizione per fare esperienza della “realtà” di terza dimensione, e per contenere quel “qualcosa di più” in cui alcuni credono, altri sperano, e pochi conoscono…
In ogni caso ci troviamo incarnati in questo mondo, e per nessuna ragione dovremmo rinnegare la nostra condizione sociale, i nostri doveri e le nostre necessità.
Dovremmo piuttosto spogliarci degli autoinganni e dei condizionamenti. La parola Dzog-chen, infatti, significa proprio “grande perfezionamento”.
Così come per comporre mudra (vedi il già citato articolo “Mandala, Mantra e Mudra: arti del suono e geometrie sacre”), il corpo può asservire l’evoluzione dell’individuo nella sua globalità tramite le tecniche dello Yantra Yoga, un tipo di Yoga caratteristico del Tibet, che verrà trattato in un prossimo articolo.
La voce
La “voce” è un aspetto di un elemento che ricorre spesso nei miei articoli: l’energia sottile. Ne abbiamo parlato in “Il problema del linguaggio”, “Jing, Qi e Shen”, e in molti altri…
Il punto è il medesimo: indipendentemente dal linguaggio utilizzato, la fisica ha ormai dimostrato da decenni che tutto ciò che esiste possiede una propria vibrazione, le cui onde occupano una precisa posizione sullo spettro di frequenza.
Alcune di queste frequenze sono percepibili dai cinque sensi, altre no.
Uno degli aspetti dell’energia sottile è proprio il suono, e grazie a questa proprietà lo Dzog-chen ha deciso di identificarla con il termine “voce”, comprensibile a tutti.
La voce a sua volta è intimamente connessa alla respirazione, strumento per eccellenza nel controllo dell’energia vitale.
Anche in questo caso lo Yantra Yoga fornisce tecniche specifiche per esplorare questo aspetto dell’esistenza, come ad esempio l’utilizzo dei mantra…
Fin dai tempi della tradizione Bӧn, i mistici orientali sono ben consapevoli dell’intima sinergia che lega l’energia interna dell’essere umano con quella dell’universo, e della relazione tra squilibrio energetico e insorgenza di malattie.
Gli antichi sciamani si spingevano a classificare le classi di esseri capaci di dominare alcune forme di energia, e quindi di “attaccare”, sul piano astrale, l’uomo indebolito o incapace di mantenere un livello di energia interna ben equilibrato e distribuito.
Simili eventi, così come disarmonie tra ambiente e individuo, erano la causa di molte malattie, e forse alcune di esse potrebbero trovarvi una spiegazione anche ai giorni nostri… Purtroppo le scienze occidentali sono suddivise in compartimenti stagni, e la medicina non abbraccia ciò che la fisica quantistica ha ormai osservato da tempo…
La mente
Cos’è la mente?
A questa domanda il maestro Namkhai Norbu risponde così:
“La mente è l’aspetto più sottile e nascosto della nostra condizione relativa, […] è il flusso ininterrotto dei pensieri che sorgono e spariscono. Ha la capacità di giudicare, ragionare, immaginare, ecc., limitata dai concetti di spazio e di tempo.
Ma dietro la mente, dietro i pensieri, c’è qualcosa che definiamo ‘natura della mente’, la vera condizione al di là di tutti i limiti.”
Una spiegazione molto simile a quella ricevuta da un mio precedente insegnante, circa lo Yoga del Silenzio e la possibilità di accedere alle realtà sovrasensibili spegnendo il pensiero dualistico e razionale…
Anche lo Dzog-chen propone i suoi metodi per scoprire la natura della mente, ed evolvere senza confini nell’insondabile universo spirituale.
Scopriamoli insieme!
La realtà oltre il riflesso
L’esempio classico utilizzato nello Dzog-chen per sondare la natura della mente è quello dello specchio.
Quando ci posizioniamo di fronte ad uno specchio, infatti, vediamo sempre sulla sua superficie delle immagini riflesse: la nostra, l’ambiente alle spalle, e così via.
Ciò che sta davanti allo specchio, in qualche modo, “nasconde” immancabilmente la sua natura. “Cosa intendiamo per ‘natura dello specchio’? La sua capacità di riflettere, definibile come chiarezza, purezza e limpidezza, condizione indispensabile per la manifestazione del riflesso.”
Tuttavia questa natura non è visibile in modo indipendente, ma soltanto intuibile attraverso le immagini riflesse.
La stessa condizione si ripercuote nell’essere umano: noi conosciamo attraverso i nostri strumenti, corpo, voce e mente, ma al tempo stesso la conoscenza così acquisita è “sporcata” dai filtri utilizzati.
“Ignari della nostra natura di chiarezza, purezza e limpidezza, consideriamo i riflessi reali, nutrendo avversione o attaccamento.”
Questa condizione ci impone di dare un peso emotivo ai fenomeni, che così sfuggono dalla nostra comprensione.
Sì, sono certo che queste parole abbiano richiamato alla tua mente il velo di Maya, o, se hai avuto modo di leggerlo, l’articolo “Una ricetta per vivere sereni e consapevoli: impara a non farti guidare dal giudizio!”
Infatti il concetto è lo stesso: dando ancora una volta la parola al maestro di Merigar, “nello Dzog-chen per ‘conoscenza’ si intende diventare come lo specchio stesso, la cui natura non può essere macchiata dalle immagini che vi si riflettono. Quando ci troviamo nella conoscenza della nostra vera condizione, nulla ci può condizionare.”
Riguardo alla mente voglio aggiungere un’ultima cosa: essa influenza sia il corpo che l’energia, in un rapporto di interdipendenza. Trascurarne “l’addestramento” può trasformarsi in un ostacolo insormontabile lungo il sentiero della conoscenza del Sé.
Come procedere allora?
Il principio incorruttibile e immortale dell’uomo e dell’universo
La Base (tradotto da Xí, termine tibetano che indica “il fondamento dell’esistenza, sia a livello universale che a livello individuale”) è un concetto proprio dello Dzog-chen, suddiviso in tre aspetti: l’essenza, la natura e l’energia.
Per quanto lo spazio di un articolo sia limitato per approfondire ciascuno di essi, devi sapere che acquisire consapevolezza della Base implica comprendere sé stessi e la natura dell’universo, poiché, in ultima analisi, non esiste differenza tra i due oggetti: la contemplazione non-duale mostra all’individuo lo Stato Primordiale, nel quale è possibile fare esperienza dell’identità (del Sé) con la Base.
Prima di perderci nella terminologia metafisica, focalizziamo l’attenzione su un aspetto di questo principio primo: l’essenza.
Nell’opera “Il Cristallo e la Via della Luce”, il maestro Namkhai Norbu ci fornisce un esempio significativo della vacuità di questa essenza.
Cosa significa in termini pratici?
Proviamo a guardare nella propria mente: “si può vedere che qualsiasi pensiero sorga è vuoto nei tre tempi: passato, presente e futuro. Vale a dire, se si cerca un luogo da cui viene il pensiero, non si trova niente; se si cerca un posto dove sta il pensiero, non si trova niente; se si cerca un posto dove va il pensiero, non si trova niente: solo vuoto.
Non che vi sia un certo ‘vuoto’ che potrebbe essere considerato una ‘cosa’ o un ‘posto’ in se stesso, ma piuttosto tutti i fenomeni, sia gli eventi mentali sia gli oggetti reali evidentemente ‘esterni’, per quanto solidi possano sembrare, sono vuoti nella loro essenza, impermanenti, esistenti solo temporaneamente […]
E, per fare un esempio, possiamo dire che questo vuoto è simile alle qualità di uno specchio (sì, proprio lo specchio del paragrafo precedente!): la purezza e la chiarezza.”
Non resta quindi che provare! Siediti in un luogo silenzioso e isolato, chiudi gli occhi e rivolgi l’attenzione dentro di te… Riesci a vedere l’origine dei tuoi pensieri?
E quindi?
Questo breve approfondimento sul Buddhismo Dzog-chen è quasi concluso… Tirando le somme, come ritieni che possa contribuire alla tua crescita personale?
Spesso, approcciandoci ad una nuova disciplina, ad una corrente filosofica o ad un’arte, ci tuffiamo a capofitto alla scoperta di formule magiche che donino consapevolezza istantanea o risveglino facoltà sopite…
La chiave è molto più semplice di così: si tratta di saper osservare.
Noi non ci fermiamo mai, non ci ascoltiamo mai… Siamo proiettati verso l’esterno, h24, con la foga di imparare, capire, fare e ottenere. Ma il risultato è sempre una corsa senza fine, condita dall’amara sensazione di lasciar sfuggire qualcosa…
Per comprendere davvero a volte basta chiudere gli occhi ed osservare se stessi.
Abbiamo già i semi della conoscenza dentro di noi, ci manca la pazienza di farli germogliare. Non è questione di fornire centinaia di nutrimenti diversi, ma di attendere in silenzio, ascoltare il calore del sole e la voce interiore, dopo aver spento il brusio della mente razionale.
Un universo infinito ci attende oltre il confine delle nostre palpebre socchiuse… Non resta che avere il coraggio di esplorarlo, lasciano indietro preconcetti e paure.
In fondo, quello che c’è qui lo hai già visto, e sono certo che non ti abbia soddisfatto pienamente… Allora cosa aspetti a tuffarti nell’“oltre”?!
L’importante è mantenere sempre “un piede nella realtà”, perché di fatto abbiamo esigenze e attributi materiali! Inoltre, per citare un ultimo consiglio del maestro Dzog-chen, “praticare un insegnamento che proviene dal Tibet non implica dover diventare un tibetano”!
Buon viaggio allora, e al prossimo articolo!
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