Realtà o illusione? Il velo di Maya

24 Mag 2021 | Scienza e Spiritualità

Fin dall’antichità l’essere umano si è interrogato sulla sua intima natura e su quella della realtà che lo circonda.

Posti di fronte all’ineluttabilità della morte, gli uomini si chiedono da sempre se questo mondo sia o meno l’unica espressione della vita.

Possibile che tutte le conquiste, le conoscenze acquisite e gli atti compiuti vengano esperiti nel brevissimo arco temporale di un’esistenza umana?

Possibile che la lotta e le sfide alle quali siamo sottoposti ogni giorno siano fini a se stesse, ostacoli apparentemente insormontabili contro i quali combattere, nella speranza di conquistare una parvenza di serenità per l’insignificante manciata di anni che precedono la fine di tutto?

Filosofi, scienziati, teologi e mistici hanno fornito risposte apparentemente diverse, che, guardando attentamente, convergono in una definitiva presa di consapevolezza: la materia con la quale si interfacciano i nostri deboli cinque sensi non è l’unica realtà possibile.

Esistono infinite variazioni all’“equazione vita”, infinite dimensioni dove frequenze vibrazionali intangibili e inintelligibili esprimono forme di realtà che travalicano la nostra esperienza sensibile (vedi anche “La composizione della macchina umana: corpi sottili e aggregati vibrazionali”).

Sono i mondi delle particelle subatomiche, dei raggi gamma, delle radiazioni solari, del vuoto cosmico… Ma anche della coscienza, dell’anima, dello spirito, dei regni astrali e della quinta dimensione, dove tutto è Uno e il dualismo spazio/tempo svanisce come per magia.

Già, sembra proprio di parlare di magia, ma in molti altri articoli ormai abbiamo analizzato come la moderna fisica quantistica abbia riconosciuto queste possibilità.

Citandone uno (“I ‘superpoteri’ dei mistici orientali spiegati dalla scienza moderna”), ad esempio, possiamo ricordare che “a livello subatomico, i quanti – pacchetti di energia – non sono né del tutto corpuscolari né del tutto ondulatori, ma tendono ora all’uno ora all’altro stato, costringendo gli osservatori a tracciarne i contorni con equazioni di probabilità. […]”

In ultima analisi quindi “è l’osservatore a scegliere quale delle due qualità assuma la particella, perdendo di conseguenza l’altra!

L’esistenza della materia corpuscolare dunque, essenzialmente, è soltanto una probabilità, concetto che può essere espresso ugualmente citando le parole del monaco buddhista indiano Aśvaghoṣa (devánāgarī: अश्वघोष), vissuto duemila anni fa: “Lo spazio esiste solo in relazione alla nostra coscienza che particolarizza.

Scienza moderna e metafisica antica si fondono in un unico sentiero che aspira alla conoscenza della realtà ultima dell’esistenza umana.

Siamo semplici corpi di materia dotati di una breve scintilla di consapevolezza, destinati a scomparire nel vuoto eterno della morte?

No.

Ma allora per quale motivo ci è precluso l’accesso a queste realtà superiori “da svegli”?

Indipendentemente dal linguaggio utilizzato, la risposta sembra celarsi nella mancanza di strumenti adeguati per sondare l’“oltre”, lacuna causata dal cosiddetto “velo di Maya”, che ci imprigiona nell’ordinaria esistenza tridimensionale…

Questa espressione è stata coniata da Arthur Schopenhauer, ed è basata sul concetto di “creazione delle apparenze fenomeniche e illusorie” proveniente dall’India antica, sottinteso appunto dal termine māyā (devánāgarī: माया).

In questo articolo lasceremo da parte gli aspetti scientifici del fenomeno, andando a scoprire come mistici e filosofi di tutti i tempi si sono interfacciati con l’apparente impenetrabilità della realtà nascosta oltre la materia.

Realtà illusione velo di maya scienza metafisica

 

“Mistici e maghi del Tibet”

Il diario di viaggio di Alexandra David-Néel, orientalista, antropologa ed esploratrice francese del secolo scorso, ci trasporta in un Tibet denso di magia e cultura.

Prima dell’invasione cinese infatti il “Paese delle Nevi” era la culla della spiritualità ascetica, luogo di eremitaggio e meditazione prediletto da tutti i saggi dell’Oriente in cerca di Verità.

Quest’atmosfera di esoterismo e mistero tende tuttavia a fornirci un’immagine di un popolo ignorante e superstizioso, soggiogato da scaltri narratori di leggende e prodigi.

Il contesto in cui la Néel studia e pratica risulta essere invece molto pragmatico, a volte perfino scettico nei confronti degli “spiriti”: gran parte della realtà esperienziale è determinata dalle “forze psichiche”, concentrazioni attive del pensiero ottenute in lunghi anni di meditazioni ed esercizi specifici.

Insomma, la mente umana sembra essere la fonte della realtà sensibile, e l’estratto del libro da cui trae il nome questo paragrafo, che propongo qui sotto, sembra dimostrarlo.

Ancora una volta l’obiettivo è uno soltanto: superare l’illusorio velo di Maya, guadagnando una scintilla di consapevolezza, chiave d’accesso ai mondi dove l’anima ricorda ancora di essere immortale.

Lo strumento? La Via Diretta, la branca del buddhismo tibetano che aspira alla realizzazione spirituale attraverso durissime prove fisiche ed esperienze dirette della realtà soprasensibile (ci sarebbe altro molto da dire, ma non è possibile farlo in questa sede).

I protagonisti sono gli apprendisti naldjorpa (scritto rnal hoyorpa, traducibile letteralmente come “colui che ha raggiunto la perfetta serenità”), asceti che possiedono poteri magici, testimoniati e addirittura acquisiti dall’autrice stessa.

Questi devoti della Via Diretta sono sottoposti ad una prova dal loro maestro spirituale: devono evocare lo Yidam, il proprio dio tutelare. Questa deità comparirà di fronte ai loro occhi soltanto dopo lunghi anni di meditazione, trascorsi isolati all’interno di una caverna tra le montagne himalayane.

Mistici e maghi del Tibet asceta lama anacoreta eremita demone dei

Alcuni rinunciano, altri riescono e se ne compiacciono, altri ancora, dopo aver visto comparire questa figura mitica, vengono assaliti da dubbi…

[…] Alla stessa presenza del Yidam, anche quando questi parlava e che loro toccavano, sono stati sfiorati dal sospetto di contemplare una pura e semplice fantasmagoria della quale essi sono stati i creatori.

Il maestro si affligge per questa confessione. E se così stanno le cose, il discepolo deve tornare nel suo tsham-khang (la caverna adibita a luogo di ritiro, o la casetta costruita appositamente per vivere in isolamento) e ricominciare gli esercizi per vincere una incredulità che risponde molto male ai favori che il Yidam gli ha testimoniato.

[…] Dopo qualche tempo, mesi o anni, egli fa la stessa confessione più decisa della precedente. Non si tratta più di dubbio, ma della convinzione che il Yidam è nato dal suo pensiero, perciò è sua creatura.

‘È proprio questo che tu devi constatare – gli dice il maestro – Dèi, demoni, l’universo intero non è che un miraggio; esiste nella mente; da essa sorge e in essa si dissolve.’

Il velo di Maya è “dimostrato” nel modo più difficile: il grande sacrificio insito nel dedicare la propria vita ad acquisire un così grande potere da poter “partecipare attivamente” alla creazione di altrettante illusioni, solo per divenire consapevoli della realtà ultima di tutta la materia: un’illusione della mente i cui contorni vengono sistematicamente tracciati dai nostri cinque sensi.

“Se una bandiera garrisce al vento, chi è che si muove: la bandiera oppure il vento?” Chiede l’allievo.

“La tua mente.” Risponde il maestro.

Ecco una curiosità: i fantasmi creati dai naldjorpa sono proprio i tulpa protagonisti del thriller d’avventura “Il Viaggiatore”, il mio romanzo d’esordio. Se vuoi saperne di più, visita questa pagina!

 

“Iside Svelata”

In quest’opera immensa Helena Blavatsky, filosofa, medium e occultista co-fondatrice della Società Teosofica, presenta una versione di “Maya” decisamente ampliata, che abbraccia molte culture terrestri.

Risalendo addirittura al “mito” della Caduta dell’Uomo, fa notare come “il secondo Adamo, o la prima razza creata che Platone chiama dèi e la Bibbia Elohim, non era triplo nella sua natura come l’uomo terreno, ossia non era composto di anima, spirito e corpo, ma era un composto di elementi astrali sublimati in cui il ‘Padre’ aveva insufflato uno spirito immortale e divino. Quest’ultimo, a causa della sua divina essenza, lottava continuamente per liberarsi dai legami di questa prigione, per quanto sottile. […]

Ecco una prima, remota forma di “Maya”, l’illusione della realtà, che acquisirà la triplice natura di anima astrale, corpo e mente con l’avvento dell’essere umano come lo conosciamo oggi. Il terzo capitolo della Genesi lo veste infatti di “abiti di pelle”, proprio per sottolineare la peculiarità che contraddistingue la vita ordinaria nello spazio-tempo.

Il Buddhismo aspira all’annichilazione di questa materia, assieme alle sue forme e alla sua temporalità, “perché ciò che ha forma è stato creato e quindi deve prima o poi perire”.

Quando l’entità spirituale si libera per sempre da ogni particella di materia, solo allora entra nell’eterno e immutabile Nirvana.

“[…] Lo spirito non è Maya, ma l’unica realtà in un universo illusorio di forme transitorie.

Come vedremo anche nei prossimi paragrafi, tutte le correnti filosofico-religiose dell’antichità si fondano sull’assunto di un universo le cui forme sono determinate dall’illusione dei sensi del “veicolo fisico” (com’è chiamato il corpo in metafisica): “Noi tutti viviamo sotto il potente dominio della fantasia.

Già… L’ottimismo non era prerogativa dei grandi metafisici del passato!

Velo di Maya realtà illusione iside svelata madame Blavatsky

 

“What is Advaita?”

L’Advaita Vedānta (devánāgarī: अद्वैत वेदान्त, traducibile letteralmente come “non-dualità”) è un sistema di realizzazione spirituale appartenente alla tradizione indiana, che ricerca un’interpretazione unificata delle più antiche tradizioni vediche: le Upaniṣad (devánāgarī: उपनिषद्), i Brahmasūtra (devánāgarī: ब्रह्मसूत्र, traducibile come “gli aforismi sul Brahman”) e la Bhagavadgītā (devánāgarī: भगवद्गीता, vedi anche “Dimensioni quantistiche e Yogin vegani”).

In questo brave saggio, che ho acquistato a Nuova Delhi durante la mia permanenza in India, il professor P. Sankaranarayanan si impegna a trasmetterci un aspetto fondamentale della cultura indiana con parole semplici e comprensibili.

Il termine Advaita sottende l’idea di un Brahman (l’Uno, forza/divinità creatrice) unico, eterno, senza attributi e senza forma, mentre il nostro mondo fenomenico è costituito da oggetti percepibili con caratteristiche e nomi diversi.

Tali “oggetti” altro non sono che le illusioni impermanenti (anitya) prodotte da Maya, il principio che fornisce le dinamiche attraverso le quali l’Uno appare nei molti aspetti dell’universo conosciuto, impedendoci di cogliere la natura ultima del vero Sé.

Quest’ultimo è l’Ātman (devánāgarī: आत्म‍), la scintilla divina insita nella coscienza umana, che in ultima analisi non è diversa da Brahman.

La condizione umana è rappresentata da un banale esempio: l’uomo comune, spaventato dalla morte e sempre all’erta, si imbatte in una corda arrotolata in penombra, e, scambiandola per un serpente velenoso, fugge terrorizzato. L’uomo saggio riconosce invece la corda per quella che è, mentre l’uomo illuminato ne intuisce addirittura la natura più profonda: la corda è egli stesso, uno dei molteplici aspetti della manifestazione di Brahman.

Ognuno di questi aspetti della consapevolezza possiede uno specifico nome sanscrito e, come antiche divinità in perenne lotta, la loro storia si intreccia con quella dell’evoluzione umana, fornendoci un caleidoscopio di conoscenze incredibile, degno tributo agli sforzi compiuti dai saggi del passato per interpretare – o tramandare – qualcosa che esiste ben oltre la caducità della nostra dimensione…

Advaita India Yoga meditazione contemplazione consapevolezza

 

Raggiungere l’“essenza” attraverso l’autoliberazione Dzog-chen

Lasciando l’approfondimento della meravigliosa disciplina dello Dzog-chen ad un altro articolo, in questo pezzo ci limitiamo ad osservare cosa propone, per far fronte all’illusorio velo di Maya, la branca del Buddhismo dedita all’autoliberazione.

È il maestro Namkhai Norbu, che ha vissuto in Italia per molti anni e le cui spoglie adesso riposano sulle pendici del monte Amiata, presso Merigar West, a spiegarci i principi di quest’“arte” metafisica che trascende i comuni canoni delle religioni moderne.

L’insegnamento Zógqen (altra traslitterazione di Dzog-chen) è, nella sua essenza, un insegnamento riguardante lo stato primordiale dell’essere, che è la natura intrinseca di ogni individuo, sin dal principio. Entrare in questo stato vuol dire sperimentare se stessi come si è, come il centro dell’universo, sebbene non nel senso dell’ego ordinario. La normale coscienza, centrata sull’ego, non è altro che la gabbia limitata della visione dualistica, che impedisce l’esperienza della propria vera natura, lo spazio dello stato primordiale.

Ancora una volta le dinamiche del dualismo e le illusioni di Maya fanno sentire il loro peso, impedendo all’uomo di conoscere se stesso.

Che significa ‘prendere coscienza della propria condizione’? Osservare se stessi, scoprire chi siamo, cosa crediamo di essere e qual è il nostro atteggiamento verso gli altri e verso la vita. Basta osservare i limiti, i giudizi, le passioni, l’orgoglio, le gelosie, gli attaccamenti e tutti gli atteggiamenti in cui ci chiudiamo nel corso di una giornata [vedi anche “Una ricetta per vivere sereni e consapevoli”]. Da dove sorgono, dove sono radicati? Nei nostri principi dualistici, nei nostri condizionamenti.

Lo Dzog-chen propone molte pratiche meditative e introspettive per superare questa condizione esistenziale, tra le quali lo Sci-ne (“non rimanere coinvolti”), che propongo nei miei corsi.

L’obiettivo è quello di acquisire una progressiva consapevolezza delle “risposte automatiche” della mente, attraverso l’autocontrollo, la conoscenza e la comprensione della sua natura. Tuttavia non c’è un vero e proprio “oggetto” da conoscere, “si tratta di fare esperienza di uno stato al di là della mente: la contemplazione.

Per comprenderla dobbiamo in ogni caso partire proprio dalla mente, e di conseguenza è il nostro sforzo individuale ad “autoliberarci”, appunto, dal velo di Maya… Un metodo molto più diretto e indipendente rispetto alle classiche vie buddhiste della rinuncia e della trasformazione.

Dzogchen autoliberazione consapevolezza verità essenza base buddhismo tibetano

 

La Via a disposizione dell’uomo moderno

Anche l’Occidente ha riflettuto a lungo sulla condizione originaria della razza umana. Ce ne ha fornito un esempio Madame Blavatsky, ricercando nelle religioni autoctone indizi di un’antica intuizione-conoscenza circa l’origine della nostra specie…

Lo stesso Schopenhauer sostiene che la vita è un sogno, e che questa condizione di perenne sognare sia innata nell’uomo.

Perfino Platone, collocando l’essere umano all’interno della caverna della sua famosa metafora, oscura la sua capacità di giudizio ponendogli un velo davanti agli occhi.

La “vera conoscenza” sembra sfuggire alle comuni facoltà umane.

Come fare allora? Come procedere nell’ardua Via della ricerca del Sé?

Come raggiungere la condizione fondamentale dell’individuo e dell’esistenza (, la “Base” della cultura tibetana, i cui tre aspetti – essenza, natura ed energia – sono interdipendenti), superando le dinamiche illusorie e dualistiche dei mondi di terza e quarta dimensione?

Lungi da me conoscere la risposta!

Esistono tuttavia degli indizi, briciole lasciate lungo il sentiero dai maestri del passato…

“La natura dello specchio è quella di riflettere, così come lo è per la mente…”

“Passato, presente e futuro non esistono, né custodiscono l’origine del pensiero…”

“I rumori, al pari delle forme, sono soltanto illusioni dei sensi…”

E così via… Cosa possiamo estrapolare di ‘pratico e applicabile’ da queste riflessioni?

Forse un esercizio in grado di guidarci verso la porta della nostra Coscienza: cercare di osservare lo spazio tra due pensieri.

È là che risiede il Sé: un luogo che non è un luogo, in un tempo talmente infinitesimale da trascenderne lo scorrere, fissandosi così sull’unica realtà dell’eterno istante presente. Un vuoto dove le illusioni dei cinque sensi non riescono ad entrare, fornendoci quindi l’accesso ad una dimensione inesplorata, ma nei confronti della quale, da qualche parte dentro di noi, sappiamo di provare una profonda nostalgia.

Intraprendere un cammino di conoscenza è più semplice di quanto crediamo: basta chiudere gli occhi, e “ascoltare/vedere” con il cuore le strade infinite del Cosmo nascosto oltre il velo sottile del mondo dei sensi. Un mondo dove, da milioni di anni, i nostri corpi di materia non fanno che morire e tornare, vita dopo vita, in forme diverse ma pur sempre prigioniere di sofferenza e ignoranza.

 

 

Roberto Fagnani

COACH DI GUERRIERI MODERNI E CONSULENTE DI VIAGGI INTERIORI

Coach di crescita personale per scoprire te stesso attraverso metodi non convenzionali: Arti Marziali orientali, libri, viaggi e antiche scienze spirituali.

0 commenti

Rispondi